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MA FINO A QUANDO?

L’istruzione e le sue disuguaglianze

Una nota introduttiva

Un‘educazione equa e di qualità comporta un’opportunità per tutti di apprendere e costruire basi forti e durature per il futuro.

Per cominciare ad affrontare un cambio di vedute sull’educazione e sull’istruzione, dobbiamo chiamare in causa le famiglie, luogo dove si iniziano a muovere i primi passi verso la società.

Ci possono venire in mente una miriade di domande:

  • È corretto, al giorno d’oggi, il nostro modo di essere genitori? È veramente adeguato o stiamo perdendo di vista i veri compiti che un genitore ha?
  • Siamo veramente sintonizzati sulle frequenze dei nostri figli?
  • Sappiamo ascoltarli fino in fondo senza costruire pregiudizi che offuschino la nostra comprensione e l’empatia nei confronti dei nostri figli?
  • Siamo ancora legati a schemi tradizionalisti che non riescono più a essere in armonia con l’evoluzione spirituale dei nostri figli?

A queste domande potremmo unirne mille altre, a cui facciamo veramente fatica a rispondere, perché anche noi abbiamo perso di vista il nostro ruolo; svuotato nel tempo da impegni sempre più pressanti, abbiamo delegato ad altri la loro educazione, il confronto sano e aperto, credendo di essere sempre nel giusto.

Il processo di crescita che investe i nostri figli, dovrebbe essere duale anche per i genitori: metterci in gioco fino in fondo, ascoltare veramente, fin da quando sono piccoli, il loro punto di vista, senza chiuderci in un braccio di ferro che non risolve le situazioni.

Noi siamo PARENT (GENITORI) (definizione presa dal libro “Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni”) e dallo stesso libro possiamo estrarre alcune definizioni importanti, come:

  • Play: il gioco libero che crea adulti più felici, più equilibrati, più resilienti.
  • Authenticity (Autenticità): perché la sincerità crea una maggiore consapevolezza di sé. Come usare la gratificazione per formare una mentalità di crescita, piuttosto che una mentalità fissa, rendendo i figli più forti.
  • Reframing (Ristrutturazione): perché la riformulazione di un’esperienza vissuta può cambiare la nostra vita e quella dei nostri figli rendendola migliore.
  • Empathy (Empatia): perché comprendere, interiorizzare e insegnare l’empatia sono fondamentali per creare bambini e adulti più felici.
  • No Ultimatums (Nessun ultimatum): perché evitare il braccio di ferro usando invece un approccio genitoriale più democratico aiuta i bambini ad avere più fiducia, più capacità di reagire ed essere più felici.
  • Togetherness and Hygge (Intimità e Divertimento): perché una forte rete sociale è uno dei fattori più importanti per la nostra felicità generale. Come può il divertimento – questa atmosfera accogliente, piacevole, intima in cui si vive circondati dall’affetto dei propri cari che dà serenità interiore – aiutarci a fare un dono così importante ai nostri figli.

Se accettiamo questo modo di confrontarci con i nostri figli, cambiando il nostro approccio genitoriale, considerandoli da subito persone ragionevoli e capaci di intendere e volere, allora potremmo iniziare una nuova fase di crescita, di sperimentazione e costruzione di una nuova società.

Se siamo disposti a tornare a studiare, e seguire il percorso di crescita dei nostri figli, allora siamo anche disposti a confrontarci con la scuola che ha bisogno di cambiare approccio e mentalità, dove il talento di ogni alunno va valorizzato, perché cresca e si evolva e possa un giorno costruire un futuro solido.

Crediamo che la scuola abbia bisogno di fermarsi e interrogarsi sulla deriva degli ultimi anni. Alunni impreparati spiritualmente, fragili e legati troppo al bisogno di possedere oggetti per sentirsi parte integrante di un gruppo, nel quale potersi identificare, perdendo costantemente di vista la propria unicità e valore. Tutto ciò è stata la realtà degli anni, logorando il linguaggio e volgarizzandolo sempre di più le relazioni.

Atti di cattiveria pura, finalizzata a se stessa, perché sia genitori sia docenti hanno smesso di confrontarsi con i ragazzi, ricoprendo ruoli oramai obsoleti e cristallizzati nel tempo.

L’aumento di violenza gratuita è lo specchio di un mondo non equo, dove non ci si indigna più se qualcuno viene aggredito fisicamente o verbalmente, non si è più solidali, non si crea una rete di collaborazione, di cooperazione, dove vige solo il proprio benessere a discapito degli altri.

In questo scenario la scuola deve ricoprire un posto importante, occorre riqualificare il personale, formandolo nuovamente, rivedendo i programmi, dando nuovi impulsi, spingendo sempre di più il tessuto docente a essere coeso alla ricerca di una elevazione spirituale dei loro alunni.

Una scuola che educhi e non si limiti a istruire: quindi promuova con l’insegnamento e con l’esempio lo sviluppo delle facoltà intellettuali estetiche, e delle qualità morali di un giovane, ecco come avrebbe dovuto evolversi nel tempo questo pilastro della società.

Un’istituzione che cambia il suo modo di approcciarsi, che cambia il vestito e il contenuto perché rimettere al centro l’uomo come essere composto da materia e da spirito, dove la ricerca dell’equilibrio diventa il motore dominante.

Invece i docenti sono stati svuotati del loro ruolo di educatori, impartiscono lezioni trite e ritrite senza aggiungere nulla, senza stimolare il dialogo e il confronto, senza far nascere nei loro alunni la curiosità di scoprire e cercare qualcosa di diverso, di andare a indagare se quello proposto dal libro di testo sia veramente la realtà dei fatti o solo un punto di vista ristretto e interessato.

Così negli anni il pensare è stato sempre più manipolato e indirizzato verso un modo di agire quasi da automa, senza riuscire a vedere quei collegamenti sottili che hanno mosso tutta la storia e la vita dell’uomo. Abbiamo perso la memoria di quello che è accaduto, perché i fatti ci sono stati esposti in modo parziale, lacunoso e a volte manipolato, non dimenticando che la storia l’hanno scritta sempre i vincitori.

I docenti hanno visto degradarsi la scuola nel tempo e non sono intervenuti, non hanno fermato la deriva di questo scempio, non hanno alzato la voce o mostrato di non applicare il programma calato dall’alto, non hanno opposto una resistenza passiva nella forma, ma attiva nella sostanza.

Cosa intendiamo?

Avrebbero potuto disobbedire ai diktat ministeriali, avrebbero potuto unirsi per proporre altro, avrebbero potuto creare menti rivoluzionarie con metodi non violenti.

Ma questo non è accaduto, la scuola è stata fatta a pezzi e nessuno è intervenuto, ma ora siamo capaci di ricostruire un edificio nuovo e adeguato ai tempi con mezzi logori e idee vecchie?

Non siamo molto ottimisti per il futuro di questa scuola odierna; solo se saprà motivare i suoi membri a dare qualcosa di più del semplice nozionismo e dell’informazione a volte distorta, solo allora potrà essere la vera fucina di giovani menti.

Bisogna avere coraggio, pensare fuori dagli schemi, giocare carte nuove, interessare e stimolare gli alunni con un linguaggio più evoluto, più articolato e non aiutare la depauperazione della nostra lingua a vantaggio di neo inglesismi che non fanno più capire il senso stesso della frase.

Bisogna combattere un analfabetismo di ritorno, un analfabetismo funzionale (persone che non comprendono il testo che leggono oppure che non riescono a rispondere correttamente a semplici domande e che faticano a interagire nella società), persone che non leggono e che hanno un linguaggio limitato e poco evoluto.

Negli ultimi anni la nostra lingua, molto ricca, ha perso forza, si è involgarita e l’uso di vocaboli si è sempre più ridotto; in media si dovrebbero conoscere circa 7000 vocaboli che fanno parte della formazione base per capire e decodificare un testo, ma le ultime ricerche parlano di 500 vocaboli nel glossario implicito di un individuo.

Se crediamo che semplificare tutto sia la risposta adeguata a un futuro molto più complesso di quello che riusciamo a immaginare, sbagliamo a valutare un fenomeno che ha delle conseguenze sempre più devastanti, distruttive e che lascerà solo macerie senza salvare nulla.

Un sistema di istruzione sempre più parcellizzato, un apparato universitario sempre più diviso in piccole aree, che non sviluppa la capacità degli studenti ad affrontare un problema globale, porterà alla creazione di una classe futura di individui che non saprà cooperare e unire insieme le proprie visioni per superare un problema in modo risolutivo.

Con il passare del tempo si è persa la capacità di avere una mente elastica capace di vedere al di là della semplice lezione impartita, capire e cercare possibili collegamenti negli avvenimenti, porsi delle domande laddove la curiosità non venga soddisfatta; si è persa la capacità di essere interessati alla ricerca.

Si è smesso di studiare nel momento in cui è stato consegnato il titolo universitario, credendo di essere arrivati al proprio traguardo, dimenticando o, forse, solo non accettando la laurea come punto di partenza per una ricerca ed uno studio continuo che impegnerà il resto della vita.

Ecco la grande pecca della scuola: non formare menti pensanti, ma solo automi, che imparino a memoria la lezioncina, senza mai mettere in dubbio le fonti, senza cercare documenti che possano comprovare delle visioni diverse, utili a stimolare un dialogo e un senso critico adeguato.

Una scuola che ha fallito nell’esaltare la mediocrità, nel creare giudizi inutili, nell’etichettare senza conoscere il percorso di ogni suo membro.

Una scuola che è caduta in un vortice di vuoto e immagine, che non ha saputo colmare le disuguaglianze che la società continuava a creare, e non prepara giovani disposti a rivoluzionare il mondo con metodi nuovi, non violenti.

L’abbandono scolastico resta una piaga che l’Italia non riesce a sconfiggere, non riuscendo a trovare il bandolo della matassa (https://asnor.it/it-schede-46-abbandono_scolastico_precoce_italia).

Nel 2018 il tasso di abbandono scolastico, calcolato secondo le regole europee, era del 14,5%; viene calcolato sulla popolazione degli under 25 e comprende tutti coloro che hanno conseguito al massimo un diploma di scuola secondaria di primo grado e non frequentano corsi o attività formative. La media UE è di circa 10,5% risultato che si sarebbe voluto conseguire nel 2020. Negli anni 2016 si era arrivati al 13,8%, peggiore il 2017 col 14,0% e il 2018 col 14,5%. Certamente il tasso di abbandono rispetto al 2004 è diminuito, quando si attestava intorno al 23%.

Questo problema di abbandono della scuola ha diverse cause e diverse conseguenze:

  1. l’estrazione sociale in cui nasci influenzerà sicuramente il tuo cammino di studi; se nasci in una fascia indigente difficilmente riuscirai a salire la scala sociale;
  2. altro fattore è quello dell’origine: se sei italiano o straniero, la dispersione degli stranieri è molto diversa;
  3. la collocazione geografica: al sud la dispersione è quasi il triplo rispetto al nord (Sicilia 24% e Veneto 8%)

Questi fattori gravano anche sulla comunità perché i ragazzi che non si formano diventano un peso per la società, perché non lavorano e non contribuiscono alla crescita del paese, spesso gravano anche sul sistema sanitario nazionale perché si ammalano prima.

Per comprendere l’allontanamento dal sistema scolastico, bisogna considerare una serie di fattori

  1. di natura economica
  2. di natura sociale e territoriale
  3. di natura ambientale, legati all’origine degli alunni

Perché in Italia continuiamo ad avere un tasso di abbondono alto e non riusciamo a invogliare i nostri ragazzi a competere con quelli europei?

I dati sicuramente sono migliorati nel corso del tempo, ma abbiamo ancora un tasso nazionale di abbandono che si attesta intorno al 13,5%.

Quali carenze ha la scuola perché l’istruzione sia sempre maggiore per chi ha una posizione socio-economica migliore?

Perché non riusciamo a favorire il miglioramento di un ceto basso verso standard di vita migliori?

Perché questa società non aiuta il più debole, ma favorisce sempre chi già ha delle posizioni di privilegio?

Perché chi nasce da umili origini, solo con grosse difficoltà potrà raggiungere certi successi?

Ovvio che l’impegno personale è alla base di questo miglioramento, ovvio che la scelta di certi studi potrebbe favorire meglio lo sviluppo rispetto a preferirne altri, ma è anche vero che quello che la scuola impartisce resta sempre molto superficiale e aleatorio, quindi migliorare il proprio stato sociale dipende anche da chi si incontra sul proprio percorso formativo.

Sono importanti, ancora una volta, le figure che formano i ragazzi; se sapranno creare nelle classi un tessuto coeso, allora i ragazzi cresceranno portandosi dentro questo bagaglio; se, invece, alimenteranno la competizione, l’arrivismo e il primeggiare a tutti i costi, invece che la collaborazione, quello che ne uscirà sarà un tessuto sociale che verrà meno, che si disgregherà come conglomerato sotto i colpi di un martello invisibile, ma potentissimo, costituito da un’aspra competizione sociale.

I risultati che oggi vediamo nella società sono il frutto di un lavoro capillare e voluto negli anni passati; invece di costruire hanno insegnato a dividere, hanno iniziato dai banchi di scuola per poi proseguire nel mondo del lavoro, vedendo sempre nell’altro un concorrente e non un collaboratore per migliore la società stessa.

Per cambiare questa visione radicata nel nostro io, portata avanti per anni di studi, con continuità, con scaltrezza e con metodo, ci vorranno forza, determinazione e rivoluzione non violenta, per recuperare la coscienza umana e per ricostruire un tessuto sociale che si è voluto distruggere in modo sistematico.

Il cambiamento dipende da noi, questa volta ci dobbiamo mettere la faccia, siamo pronti a conoscere ciò che ci è stato volutamente nascosto e iniziare a costruire invece di continuare a distruggere?

Siamo veramente pronti a rischiare in prima persona, non aspettando che altri facciano un lavoro che tocca a noi?

Siamo disposti a provare, per una volta, a creare la nostra realtà, dove siamo noi che interagiamo e che scopriamo i nostri veri talenti, senza aspettare che qualcuno ci indichi la strada?

Se vogliamo vedere dei risultati è ora di agire, non di restare sulla sedia in platea, aspettando di vedere in scena l’ennesimo spettacolo manovrato da altri, uno spettacolo che sembra ogni volta diverso, ma che, per legge gattopardesca, non cambia mai.

Un possibile cambiamento nel campo dell’istruzione potrebbe essere costituito dal movimento che sta sorgendo tra genitori e insegnanti che non si adeguano più a una scuola che impone solo regole restrittive: come distanziamento, mascherina e, in genere, rapporti deumanizzati; una scuola non legata alla struttura, ma orientata all’apprendimento anche con strumenti di insegnamento differenti.

Molti genitori stanno prendendo coscienza dell’esistenza di un diritto alla scelta orientata al beneficio dei i propri figli e imposta da strutture che ormai si dimostrano obsolete.

Navigando in rete, ascoltando trasmissioni si viene a conoscenza che una realtà scolastica differente sta cercando di nasce sul territorio, ovvero le scuole parentali o anche home schooling.

Ci sono genitori e insegnanti che non accettano più queste regole, questo istituto allo sbando senza più considerare chi usufruisce del servizio, cioè i bambini e ragazzi, li si considera come merce di scambio.

Questa ricerca nasce anche in un momento particolare quello che vede le nostre vite, molto influenzate e assoggettate alle norme Covid.

Ci sono diversi passaggi da effettuare:

  1. cancellare l’alunno dalla anagrafe scolastica, per poter impedire la cessione di sensibilissimi dati sanitari del minore da parte del Dirigente scolastico verso le ASL;
  2. un programma creato apposta per questi bambini, che segua le norme di Miur e che possa anche avere delle variazioni e aggiunte che possano fare crescere maggiormente certe attitudini del bambino o del ragazzo in questione. L’obbligo a fine anno di sostenere un esame per continuare il percorso formativo.